"Dante. La visione dell’arte."
Una mostra per ricordare Dante a 700 anni dalla sua scomparsa. Musei San Domenico di Forlì dal 1° Aprile all’11 Luglio 2021 .
Un anniversario non è mai solo un anniversario e in occasione del settimo centenario dalla morte, non potevamo mancare di celebrare il Sommo Poeta. Per questo il 19 di giugno i dipendenti di RomagnaBanca saranno in visita ai Musei San Domenico per la mostra "Dante. La visione dell'arte"
Abbiamo chiesto una riflessione al Direttore del complesso museale Gianfranco Brunelli.
Celebrare Dante, significa celebrare il fondamento culturale dell’Italia e della sua civiltà.
Dante è l’insieme della sua opera non staccata dall’insieme della sua vicenda storico esistenziale. Certo la Divina Commedia, soprattutto la Commedia, ma non solo.
Molti, in ogni tempo e da diverse culture, hanno visitato Dante e la sua opera. Il che rende estremamente ardua per noi oggi ogni nuova visitazione. Anche solo per la Commedia ci troviamo di fronte a un grande Codex della cultura occidentale. Storia, politica, teologia, filosofia, scienza, mitologia, diritto, poesia e prosa, profezia e spiritualità vi trovano spazio e intreccio unici e singolarissimi. Si potrebbe persino dire che il testo di Dante è come cresciuto in sé stesso per le interpretazioni, i rispecchiamenti, le appropriazioni che le diverse stagioni storiche e culturali, con le loro necessità e i loro drammi, ne hanno fatte. Fino a diventare forma mentis di una intera civiltà. Tutto quel che è accaduto dopo, sotto il cielo, ha trovato qui «intelligenza». Forse perché egli ha raffigurato quanto vi è sotto il cielo guardandolo, metaforicamente, dal cielo.
Quella di Dante è stata una mente visionaria e sistematica, che ha saputo tenere unita in un disegno piuttosto coerente - nonostante la frammentarietà dei suoi scritti oltre la Commedia - la sua ricerca, il suo pensiero e il suo tempo.
L’altra caratteristica fondamentale è la sua capacità di scendere e salire dai dati specifici dell’esperienza storica ed esistenziale alla visione generale, al loro significato universale. Questo approccio, nei limiti attuali di un pensiero parcellizzato e non più universalistico come quello medievale, rimane in certo modo attuale, almeno come necessità. Per questo la sua opera è anche una forma di autobiografismo. L’io di Dante è al centro della sua opera, anche se egli evita il modello paradigmatico applicato da Sant’Agostino.
L’opera di Dante ha in certo modo determinato il modo stesso di intendere - ben oltre il dogma cristiano - la figura dell’aldilà, e con ciò il destino mondano e ultramondano dell’uomo. Per questo iniziamo l’esposizione forlivese, realizzata assieme agli Uffizi, con i giudizi universali. Questo «realismo storico» proiettato nell’eternità è reso possibile dalla concezione cristiana dell’umano, secondo la quale la conformazione dell’aldilà dipende da quanto è avvenuto nello spazio e nel tempo della vita.
Quanto è accaduto nella storia ha modificato quel che è chiamato ad essere eterno. Del resto questa corrispondenza tra cielo e terra è ben presente fin nella consapevolezza interpretativa del poeta, in un intreccio personale e collettivo che lo riguarda:
“Se mai continga che ‘l poema sacro / al quale
ha posto mano e cielo e terra, / sì che m’ha
fatto per molti anni macro, / vinca la crudeltà
che fuor mi serra / del bello ovile ov’ io dormi’
agnello, / nimico ai lupi che li danno guerra”
(Paradiso XXV, 1-6).
In tutti e tre i regni, l’Inferno, il Purgatorio, il Paradiso incontriamo un’abbondanza inesauribile di figure visibili che conservano i tratti creaturali. Dante non racconta, ma mostra; non esprime semplicemente sentimenti, li fa diventare gesti. Il suo è un “visibile parlare”, un raccontare figurativo. Nelle tre cantiche non si ragiona
soltanto, ma si vede, si ode, si sente. Anche l’arte, tutta l’arte, è andata infinite volte a Dante e alla Commedia.
L’opera di Dante non solo ha ispirato nei secoli schiere di artisti, ma l’arte figurativa, particolarmente la pittura e la scultura sono linguaggio e metafora interne alla Commedia: il rapporto tra il contemplare della visione dantesca e il vedere della raffigurazione dell’arte è evocato e tematizzato dallo stesso poeta in più luoghi della sua opera. Accade, ad esempio, nelle balze del Purgatorio (Canto X), quando gl’intagli del marmo candido e adorno paiono scolpiti, più che da Policleto, dalla natura stessa e l’angelo dell’annunciazione “pareva si verace”, “che non sembrava immagine che tace”. Accade nel Paradiso (Canto XXIV), al culmine della contemplazione, che per illustrare il tema dell’amore altro non possa fare che ricorrere alla metafora pittorica: “perché ’l viso hai quivi/ ov’ogni cosa dipinta si vede”.
Il rapporto tra Dante e Giotto è un rapporto in parte reale e in parte mitografico sorto a mezzo l’Ottocento, quando nel centenario della nascita (1865) si guarda a questi due grandi artisti come ai fondatori ideali dell’unità non solo culturale, ma anche politica dell’Italia. Il naturalismo di Giotto e il realismo di Dante ci hanno consegnato l’ingresso nella nuova modernità degli stilemi rinascimentali; il mito dell’Italia ha consentito un grande recupero civile e religioso del Medioevo.
In mostra le statue di Vincenzo Vela scolpite per illustrare Dante e Giotto proprio in quel 1865 (Firenze è capitale) e il bel quadro di Mochi, “Dante presenta Giotto a
Guido Novello”, lo documentano.
Dante è indiscutibilmente all’inizio della nostra lingua. Il che lo rende davvero rivoluzionario. Diverso è l’approccio alla questione politica del suo tempo. Qui il rapporto tra comune, chiesa e impero interseca la questione che potremmo chiamare, con qualche forzatura, da un lato della “laicità” e dall’altro di un ritorno alle origini del cristianesimo, circa il tema dell’autonomia dei poteri temporale e spirituale. Il secondo aspetto attiene al sorgere di soggetti nuovi come le autonomie comunali. Profetico nel primo caso. Conservatore nell’altro. Difficile fare analogie con l’oggi. Di certo l’Italia rimane dopo secoli un paese frammentato e diviso.
L’esposizione forlivese del 2021, realizzata assieme alle Gallerie degli Uffizi, affronta un arco temporale che va da Duecento al Novecento. Il rapporto tra Dante e l’arte vi è ricostruito per la prima volta interamente. In 18 sezioni non solo la Commedia, tutta la Commedia, ma l’insieme delle opere e dell’esperienza dantesca viene illustrata. Nel rievocare gli artisti che si sono cimentati nella grande sfida di rendere in immagini la potenza visionaria di Dante, delle sue opere e in particolare della Divina Commedia, o hanno trattato tematiche simili a quelle dantesche, o ancora hanno tratto da lui episodi o personaggi singoli, sganciandoli dall’intera vicenda e facendoli vivere in sé.
L’esposizione non può non partire da alcune preziose testimonianze (da Cimabue a Giotto, da Lorenzetti a Beato Angelico, da Beccafumi a Vanni, a Michelangelo, ad Allori) che hanno ripreso soprattutto il tema del Giudizio Universale.
La mostra passa poi ad illustrare la prima fortuna critica di Dante attraverso le fonti dantesche e le prime edizioni della Commedia e alcuni dei più importanti Codici miniati del XIV e XV secolo. La ritrattistica sul poeta, almeno fino alla prima metà del XVI secolo segue lo schema del ritratto degli uomini illustri e sarà documentata in mostra da alcune importanti testimonianze da Andrea del Castagno a Botticelli, a Cristofano dell’Altissimo, Vasari. La stessa fortuna del ritratto assumerà, nella forte ripresa ottocentesca, il significato della ripresa della figura dantesca come mitografia della patria: il culto di Dante come culto della nazione. E saranno, tra gli altri, artisti come Ussi, Faruffini, Altamura, Vela, Dupré, Petarlini a raffigurarne la memoria nuova.
Il tema del rapporto tra Dante e l’antico riguarderà l’effigie dei maggiori autori greci e latini che Dante, a partire naturalmente da Virgilio (documentato in mostra dal Maestro campionese, da Giulio Romano e Albicini), cita lungo la sua produzione dal Convivio alla Commedia, quali Omero, Ovidio, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca, Zenone. Accanto agli autori pagani quelli cristiani: da Girolamo ad Agostino, a Boezio, a Tommaso, a Buonaventura, ad Alberto Magno. Un capitolo fondamentale è dedicato al sogno di Beatrice, alla figura che Dante assume a emblema del rinnovamento dell’arte e delle sue stesse positive passioni (“Lo doloroso amor che mi conduce”), testimoniata, già prima della Commedia, dagli scritti della Vita Nova, cui fanno riferimento soprattutto i Preraffaelliti inglesi, ed in particolare Dante Gabriele Rossetti e Henry James Holiday. Dopo la breve stagione rinascimentale, rappresentata soprattutto dai dipinti e dai disegni di Michelangelo e i protagonisti del Manierismo come Beccafumi, Bronzino, Giovanni Stradano e Federico Zuccari, si passa alla esaltante riscoperta neoclassica e preromantica di Dante, segnata dal genio dei grandi pittori e illustratori che, come Flaxman, Blake, Koch, Giani, si sono misurati con la nuova categoria estetica del sublime. Nella stagione del Romanticismo la fortuna iconografica di Dante e della Divina Commedia è davvero esplosa diventando un fenomeno europeo. Tra gli episodi e i personaggi del poema quelli di Paolo e Francesca, di Farinata, del conte Ugolino, di Pia de’ Tolomei sono quelli che più hanno colpito l’immaginario collettivo creando una nuova mitologia moderna che si è andata sostituendo a quella antica anche nelle scelte degli artisti. I Nazareni tedeschi, i grandi romantici francesi, come Ary Scheffer, Lacomte du Nouy, Prouvé, Bartholdi ma anche il classicista Ingres, e poi ancora gli accademici e i protagonisti del Romanticismo storico in Italia, come Diotti, Sabatelli, Bezzuoli, Morelli, hanno saputo rappresentare e rendere attuali le passioni che agitano i protagonisti del poema, fino agli esiti tardo ottocenteschi e primo novecenteschi di Previati e Boccioni. Pittura, scultura e grafica compresi.